Author: | Giacinto Mascia | ISBN: | 9786050379853 |
Publisher: | Giacinto Mascia | Publication: | May 15, 2015 |
Imprint: | Language: | Italian |
Author: | Giacinto Mascia |
ISBN: | 9786050379853 |
Publisher: | Giacinto Mascia |
Publication: | May 15, 2015 |
Imprint: | |
Language: | Italian |
Ogni lavoro storico e interpretazione della guerra condotta dall’Italia fra il 1940 e il 1943, parte dalla granitica certezza che il Paese fosse assolutamente impreparato sotto ogni punto di vista. Tale giudizio sull’impreparazione italiana, assurto a dogma nel dopoguerra, è del tutto falso per quanto riguardava gli strumenti di rilevamento elettrotecnico: i radiotelemetri. Negli anni Trenta questi strumenti erano chiamati in Italia radiolocalizzatori o radiotelemetri, in Gran Bretagna erano chiamati Radiolocators o RDF (Radio Direction Finding), in Germania avevano diversi nomi, ma oggi sono comunemente noti con il nome di Radar (radio detection and ranging), termine che si impose nel secondo dopoguerra. La tecnologia base della radio e dei «radar» risaliva alla fine dell’Ottocento, grazie alle scoperte ed invenzioni dello scienziato di origine serba Nikola Tesla, ma le realizzazioni ufficiali risalivano agli anni Venti e Trenta del Novecento. L’Italia cominciò gli studi ed i lavori con Guglielmo Marconi nei primi anni Trenta, ma le ricerche furono condotte anche da altri ingegneri italiani che diedero all’Italia una invenzione formidabile. Gli studiosi italiani che si dedicarono alla realizzazione dei radiotelemetri furono numerosi, tra cui l’ingegnere Ernesto Montù, l’ingegner Agostino Del Vecchio, il professor Ugo Tiberio, il professor Nello Carrara e l’ingegner Arturo Castellani. Gli strumenti realizzati dai tecnici italiani erano perfettamente funzionanti, alcuni già pronti dal 1935-36, ma non furono valutati attentamente dai militari italiani, che dimostrarono un disinteresse incredibile e talvolta fastidio per un’invenzione fondamentale in ambito bellico. Il livello degli studiosi italiani si rivelò eccellente, raggiungendo vette insuperate per il periodo, anche fra le contemporanee realizzazioni straniere. A proposito basti pensare che l’ingegner Castellani costruì due tipi di radiotelemetro a scansione televisiva, denominati Veltro e Lepre. Tutta la vicenda dello studio e delle realizzazioni italiane legate ai radiotelemetri è stata ignorata nel dopoguerra, tranne rare eccezioni, cancellando di fatto l’intero lavoro svolto dai vari ricercatori italiani che possedevano un elevato patrimonio tecnico del tutto misconosciuto oggi. È il caso di ricordare che molti degli strumenti costruiti dall’Italia erano superiori ai coevi apparati stranieri, fatto appurato dagli Alleati al termine della guerra. Nonostante i limitati finanziamenti avuti dai ricercatori italiani, l’esito delle invenzioni fu notevolmente positivo. Dal 1936 al 1943 l’Italia aveva investito nelle ricerche radiotecniche circa un miliardo di lire; gli Stati Uniti avevano investito nelle ricerche radiotecniche la cifra di 2 miliardi e 700 milioni di dollari, cioè circa il doppio di quanto impiegarono per la ricerca sulla bomba atomica, impiegando quattromila ricercatori.
Ogni lavoro storico e interpretazione della guerra condotta dall’Italia fra il 1940 e il 1943, parte dalla granitica certezza che il Paese fosse assolutamente impreparato sotto ogni punto di vista. Tale giudizio sull’impreparazione italiana, assurto a dogma nel dopoguerra, è del tutto falso per quanto riguardava gli strumenti di rilevamento elettrotecnico: i radiotelemetri. Negli anni Trenta questi strumenti erano chiamati in Italia radiolocalizzatori o radiotelemetri, in Gran Bretagna erano chiamati Radiolocators o RDF (Radio Direction Finding), in Germania avevano diversi nomi, ma oggi sono comunemente noti con il nome di Radar (radio detection and ranging), termine che si impose nel secondo dopoguerra. La tecnologia base della radio e dei «radar» risaliva alla fine dell’Ottocento, grazie alle scoperte ed invenzioni dello scienziato di origine serba Nikola Tesla, ma le realizzazioni ufficiali risalivano agli anni Venti e Trenta del Novecento. L’Italia cominciò gli studi ed i lavori con Guglielmo Marconi nei primi anni Trenta, ma le ricerche furono condotte anche da altri ingegneri italiani che diedero all’Italia una invenzione formidabile. Gli studiosi italiani che si dedicarono alla realizzazione dei radiotelemetri furono numerosi, tra cui l’ingegnere Ernesto Montù, l’ingegner Agostino Del Vecchio, il professor Ugo Tiberio, il professor Nello Carrara e l’ingegner Arturo Castellani. Gli strumenti realizzati dai tecnici italiani erano perfettamente funzionanti, alcuni già pronti dal 1935-36, ma non furono valutati attentamente dai militari italiani, che dimostrarono un disinteresse incredibile e talvolta fastidio per un’invenzione fondamentale in ambito bellico. Il livello degli studiosi italiani si rivelò eccellente, raggiungendo vette insuperate per il periodo, anche fra le contemporanee realizzazioni straniere. A proposito basti pensare che l’ingegner Castellani costruì due tipi di radiotelemetro a scansione televisiva, denominati Veltro e Lepre. Tutta la vicenda dello studio e delle realizzazioni italiane legate ai radiotelemetri è stata ignorata nel dopoguerra, tranne rare eccezioni, cancellando di fatto l’intero lavoro svolto dai vari ricercatori italiani che possedevano un elevato patrimonio tecnico del tutto misconosciuto oggi. È il caso di ricordare che molti degli strumenti costruiti dall’Italia erano superiori ai coevi apparati stranieri, fatto appurato dagli Alleati al termine della guerra. Nonostante i limitati finanziamenti avuti dai ricercatori italiani, l’esito delle invenzioni fu notevolmente positivo. Dal 1936 al 1943 l’Italia aveva investito nelle ricerche radiotecniche circa un miliardo di lire; gli Stati Uniti avevano investito nelle ricerche radiotecniche la cifra di 2 miliardi e 700 milioni di dollari, cioè circa il doppio di quanto impiegarono per la ricerca sulla bomba atomica, impiegando quattromila ricercatori.