Author: | Amitav Ghosh | ISBN: | 9788854505254 |
Publisher: | Neri Pozza | Publication: | June 17, 2011 |
Imprint: | Neri Pozza | Language: | Italian |
Author: | Amitav Ghosh |
ISBN: | 9788854505254 |
Publisher: | Neri Pozza |
Publication: | June 17, 2011 |
Imprint: | Neri Pozza |
Language: | Italian |
Piya è appena arrivata a Canning, l'ultima fermata per i Sundarban, l' immenso arcipelago di isole che si stende fra il mare e le pianure del Bengala, dal fiume Hooghly fino alle rive del Meghna in Bangladesh. Secondo la leggenda, l'arcipelago è sorto il giorno in cui la treccia del dio Shiva si è disfatta, e i suoi capelli bagnati si sono sciolti in un immenso e intricato groviglio. E, in effetti, a chi da Canning giunga fino a Lusibari, il più lontano dei lembi di terra abitati dei Sundarban, le isole sembrano davvero migliaia di ciocche arruffate, o fili smarriti del tessuto dell'India, frange sbrindellate del suo sari. Piya, giovane biologa marina nata nel Bengala ma cresciuta negli Stati Uniti, è arrivata in questo groviglio di fiumi e foreste per trascorrere, come le accade da tempo ormai, lunghe ore su barche instabili sotto il cielo rovente, a scandagliare la superficie dell'acqua alla ricerca di qualche delfino o di qualche altra specie rara di mammifero. Sull'Irrawaddy, però, sul Mekong o sul Mahakam, sui corsi d'acqua di mezzo mondo, si sentiva protetta dalla sua inequivocabile estraneità, dai suoi capelli neri corti, dalla sua pelle scura, dal suo viso lungo e sottile, dai suoi delicati lineamenti di giovane donna indiana. Qui, in un posto in cui si sente più straniera che altrove, Piya sa che il suo aspetto la priva di ogni protezione. Per Kanai Dutt, invece, l'interprete diretto a Lusibari per decifrare un misterioso diario lasciato da suo zio, l'uomo che nell'inclinazione del capo e nell'ampiezza dei gesti rivela una pacata, ferma sicurezza, questo luogo in cui le foreste di mangrovia ricoprono un'isola intera nell'arco di pochi anni, e ogni anno decine di persone muoiono nell'abbraccio di quel fogliame inestricabile, uccise da tigri, serpenti e coccodrilli, è soltanto un paesaggio dove poter sfoggiare l'a gilità e la prontezza del viaggiatore capace istintivamente di cogliere l'attimo. Solo per Fokir, il pescatore, i Sundarban sono il mondo, l'unico mondo noto. A bordo della sua barca, fatta di canne, foglie di bambù e assi di legno malconce, Fokir conosce ogni angolo di quest'universo sorto dal disfarsi della treccia di Shiva, dove non non esistono confini tra acqua dolce e salata, fiume e mare, e ogni giorno le maree ricoprono la terra e foreste intere scompaiono. Attorno a questi tre straordinari personaggi - Piya, la studiosa attratta dalla potenza magica della natura, Kanai, l'interprete che incarna la razionalità occidentale, Fokir, il pescatore che attinge alla millenaria sapienza pratica dell'Oriente - e al racconto dell'avventura che li terrà insieme fino alla fine, Ghosh costruisce, con Il paese delle maree, un romanzo epico in cui ridà voce all'eterno conflitto tra uomo e natura, libertà e destino, mito e ragione.
Piya è appena arrivata a Canning, l'ultima fermata per i Sundarban, l' immenso arcipelago di isole che si stende fra il mare e le pianure del Bengala, dal fiume Hooghly fino alle rive del Meghna in Bangladesh. Secondo la leggenda, l'arcipelago è sorto il giorno in cui la treccia del dio Shiva si è disfatta, e i suoi capelli bagnati si sono sciolti in un immenso e intricato groviglio. E, in effetti, a chi da Canning giunga fino a Lusibari, il più lontano dei lembi di terra abitati dei Sundarban, le isole sembrano davvero migliaia di ciocche arruffate, o fili smarriti del tessuto dell'India, frange sbrindellate del suo sari. Piya, giovane biologa marina nata nel Bengala ma cresciuta negli Stati Uniti, è arrivata in questo groviglio di fiumi e foreste per trascorrere, come le accade da tempo ormai, lunghe ore su barche instabili sotto il cielo rovente, a scandagliare la superficie dell'acqua alla ricerca di qualche delfino o di qualche altra specie rara di mammifero. Sull'Irrawaddy, però, sul Mekong o sul Mahakam, sui corsi d'acqua di mezzo mondo, si sentiva protetta dalla sua inequivocabile estraneità, dai suoi capelli neri corti, dalla sua pelle scura, dal suo viso lungo e sottile, dai suoi delicati lineamenti di giovane donna indiana. Qui, in un posto in cui si sente più straniera che altrove, Piya sa che il suo aspetto la priva di ogni protezione. Per Kanai Dutt, invece, l'interprete diretto a Lusibari per decifrare un misterioso diario lasciato da suo zio, l'uomo che nell'inclinazione del capo e nell'ampiezza dei gesti rivela una pacata, ferma sicurezza, questo luogo in cui le foreste di mangrovia ricoprono un'isola intera nell'arco di pochi anni, e ogni anno decine di persone muoiono nell'abbraccio di quel fogliame inestricabile, uccise da tigri, serpenti e coccodrilli, è soltanto un paesaggio dove poter sfoggiare l'a gilità e la prontezza del viaggiatore capace istintivamente di cogliere l'attimo. Solo per Fokir, il pescatore, i Sundarban sono il mondo, l'unico mondo noto. A bordo della sua barca, fatta di canne, foglie di bambù e assi di legno malconce, Fokir conosce ogni angolo di quest'universo sorto dal disfarsi della treccia di Shiva, dove non non esistono confini tra acqua dolce e salata, fiume e mare, e ogni giorno le maree ricoprono la terra e foreste intere scompaiono. Attorno a questi tre straordinari personaggi - Piya, la studiosa attratta dalla potenza magica della natura, Kanai, l'interprete che incarna la razionalità occidentale, Fokir, il pescatore che attinge alla millenaria sapienza pratica dell'Oriente - e al racconto dell'avventura che li terrà insieme fino alla fine, Ghosh costruisce, con Il paese delle maree, un romanzo epico in cui ridà voce all'eterno conflitto tra uomo e natura, libertà e destino, mito e ragione.