Author: | Francesca Gandolfo | ISBN: | 9788849298864 |
Publisher: | Gangemi Editore | Publication: | October 29, 2015 |
Imprint: | Gangemi Editore | Language: | Italian |
Author: | Francesca Gandolfo |
ISBN: | 9788849298864 |
Publisher: | Gangemi Editore |
Publication: | October 29, 2015 |
Imprint: | Gangemi Editore |
Language: | Italian |
Questo libro nasce dal desiderio di mettere a conoscenza di un vasto pubblico una storia poco nota, anzi, quasi del tutto sconosciuta, quella del Museo Coloniale di Roma. Le vicende del Museo Coloniale di Roma, come chiarisce il nome stesso che dà il titolo al volume, rendono testimonianza di una fase storica nella quale, dopo l’unificazione dell’Italia, l’azione di promozione coloniale veniva svolta da diversi enti pubblici e privati: musei e associazioni geografiche, africanistiche e coloniali, dislocati in tutto il territorio nazionale. Emblematica in questo senso fu l’attività del Museo Coloniale di Roma. Il sottotitolo, Fra le zebre nel paese dell’olio di ricino, è tratto da un articolo che «Il Popolo d’Italia» pubblicò il 4 novembre 1923, e vuole esprimere quel confine tra il formale e l’informale che permette di narrare il passato senza indulgere troppo in una specialistica e burocratica divulgazione scientifica. C’è anche un motivo pratico, che si riannoda ai fili della storia. La pianta del Ricinus communis, esposta alla Mostra triennale delle terre italiane d’oltremare del 1940, era considerata dal regime una pianta dal valore autarchico, per via delle sue molteplici utilizzazioni nell’industria tessile, farmaceutica, cosmetica e nella produzione del lubrificante per gli aerei militari, oltre ad essere nota per l’olio di ricino, impiegato come strumento di tortura. Le zebre alludono alla liaison tra storia, natura ed esotismo. Il continente africano simboleggia ancor oggi un ‘altrove’ e la zebra incarna l’altrove dell’Africa che, da semplice cornice imperiale, è diventata oggi un paradosso di contraddizioni. Il Museo Coloniale custodiva in passato circa dodicimila oggetti e un tesoro, il Tesoro archeologico della Libia, trasferito in Italia nel 1942 dall’ex soprintendente reggente della Libia Gennaro Pesce. Dopo quasi settant’anni di silenzio, la storia di questo tesoro torna di nuovo alla ribalta e si intreccia con la guerra civile in Libia. Il 25 maggio 2011, dal caveau della Banca Nazionale Commerciale di Bengasi viene rubato il tesoro archeologico di Bengasi che, con ogni probabilità, è lo stesso Tesoro archeologico della Libia messo al sicuro da Gennaro Pesce. La sua sorte è ancor oggi un ‘mistero’, ma il mistero che circonda questo e altri tesori archeologici altro non è che l’assenza di notizie e testimonianze certe. Tra rigore scientifico e una scrittura comunicativa, a volte ironica e amara, si svolge in queste pagine l’appassionante storia della nascita e del declino di un museo e dei suoi ‘tesori’, sconosciuti ai più. Un museo che si propone come metafora patriottica di un periodo della storia d’Italia scomodo e pieno di contraddizioni, ma proprio per questo degno di essere indagato in ogni suo aspetto, perché soltanto in questo modo si possono aprire sentieri di ricerca alternativi, come quelli che si prospettano in questo libro. Francesca Gandolfo È archeologa e lavora a Roma presso la Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte Contemporanee del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Archeologa pre-protostorica vicino e medio-orientale, specializzatasi nello studio dei tessuti protostorici, è esperta di etnoarcheologia dell’abbigliamento, dei tessuti e dei gioielli antichi e di tradizione. È curatrice di eventi espositivi in Italia e all’estero. Ha studiato al Centre de Recherches Archéologiques del CNRS di Parigi. Ha condotto ricerche e scavi in Italia, nel Vicino e Medio Oriente, negli Emirati Arabi Uniti e in Kuweit. È stata professore a contratto all’Università di Firenze. È autrice di numerosi saggi e pubblicazioni in opere collettive. Ha scritto Realtà e mito nei costumi tradizionali e popolari del Piemonte e della Valle d’Aosta (Priuli & Verlucca, Ivrea 1997).
Questo libro nasce dal desiderio di mettere a conoscenza di un vasto pubblico una storia poco nota, anzi, quasi del tutto sconosciuta, quella del Museo Coloniale di Roma. Le vicende del Museo Coloniale di Roma, come chiarisce il nome stesso che dà il titolo al volume, rendono testimonianza di una fase storica nella quale, dopo l’unificazione dell’Italia, l’azione di promozione coloniale veniva svolta da diversi enti pubblici e privati: musei e associazioni geografiche, africanistiche e coloniali, dislocati in tutto il territorio nazionale. Emblematica in questo senso fu l’attività del Museo Coloniale di Roma. Il sottotitolo, Fra le zebre nel paese dell’olio di ricino, è tratto da un articolo che «Il Popolo d’Italia» pubblicò il 4 novembre 1923, e vuole esprimere quel confine tra il formale e l’informale che permette di narrare il passato senza indulgere troppo in una specialistica e burocratica divulgazione scientifica. C’è anche un motivo pratico, che si riannoda ai fili della storia. La pianta del Ricinus communis, esposta alla Mostra triennale delle terre italiane d’oltremare del 1940, era considerata dal regime una pianta dal valore autarchico, per via delle sue molteplici utilizzazioni nell’industria tessile, farmaceutica, cosmetica e nella produzione del lubrificante per gli aerei militari, oltre ad essere nota per l’olio di ricino, impiegato come strumento di tortura. Le zebre alludono alla liaison tra storia, natura ed esotismo. Il continente africano simboleggia ancor oggi un ‘altrove’ e la zebra incarna l’altrove dell’Africa che, da semplice cornice imperiale, è diventata oggi un paradosso di contraddizioni. Il Museo Coloniale custodiva in passato circa dodicimila oggetti e un tesoro, il Tesoro archeologico della Libia, trasferito in Italia nel 1942 dall’ex soprintendente reggente della Libia Gennaro Pesce. Dopo quasi settant’anni di silenzio, la storia di questo tesoro torna di nuovo alla ribalta e si intreccia con la guerra civile in Libia. Il 25 maggio 2011, dal caveau della Banca Nazionale Commerciale di Bengasi viene rubato il tesoro archeologico di Bengasi che, con ogni probabilità, è lo stesso Tesoro archeologico della Libia messo al sicuro da Gennaro Pesce. La sua sorte è ancor oggi un ‘mistero’, ma il mistero che circonda questo e altri tesori archeologici altro non è che l’assenza di notizie e testimonianze certe. Tra rigore scientifico e una scrittura comunicativa, a volte ironica e amara, si svolge in queste pagine l’appassionante storia della nascita e del declino di un museo e dei suoi ‘tesori’, sconosciuti ai più. Un museo che si propone come metafora patriottica di un periodo della storia d’Italia scomodo e pieno di contraddizioni, ma proprio per questo degno di essere indagato in ogni suo aspetto, perché soltanto in questo modo si possono aprire sentieri di ricerca alternativi, come quelli che si prospettano in questo libro. Francesca Gandolfo È archeologa e lavora a Roma presso la Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte Contemporanee del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Archeologa pre-protostorica vicino e medio-orientale, specializzatasi nello studio dei tessuti protostorici, è esperta di etnoarcheologia dell’abbigliamento, dei tessuti e dei gioielli antichi e di tradizione. È curatrice di eventi espositivi in Italia e all’estero. Ha studiato al Centre de Recherches Archéologiques del CNRS di Parigi. Ha condotto ricerche e scavi in Italia, nel Vicino e Medio Oriente, negli Emirati Arabi Uniti e in Kuweit. È stata professore a contratto all’Università di Firenze. È autrice di numerosi saggi e pubblicazioni in opere collettive. Ha scritto Realtà e mito nei costumi tradizionali e popolari del Piemonte e della Valle d’Aosta (Priuli & Verlucca, Ivrea 1997).