Oro, cannibali, carrozze
Nonfiction, Religion & Spirituality, Philosophy, Humanism, History, Americas, Native American, Social & Cultural Studies, Political Science
Era trascorso un secolo esatto dalla scoperta dell'America quando morì Michel de Montaigne, il primo dei moderni a registrare, come un sismografo ultrasensibile, la dirompenza di quell'evento sugli spalti mentali dell'Occidente. Con la geografia planetaria, ne uscì scossa l'idea stessa di umanità. Senza condividere il fremito religioso di chi acclamava nell'impresa un'occasione cristianissima, ma senza neppure arruolarsi tra i precursori dell'antietnocentrismo ingenuo, Montaigne ispezionò attraverso la prospettiva americana il groviglio della modernità appena inaugurata. Filosofo atipico, insofferente di qualsiasi dottrina e sospettoso di ogni epica del pensiero, riteneva la ragione abbastanza inferma da necessitare dell'attrito dei fatti, di qualsiasi natura fossero. E nella conquista del Nuovo Mondo i fatti su cui esercitare il giudizio erano massacri e predazioni, perfettamente riconoscibili nonostante la trasfigurazione operata da una fraudolenta teologia dell'oro. L'effetto America in Montaigne non avrebbe potuto trovare un interprete più congeniale di Carlo Montaleone, capace di perlustrare Dei cannibali e Delle carrozze - due testi famosissimi e piuttosto enigmatici dei Saggi - attingendo a una sua duplice, rara consuetudine: con lo stile argomentativo di un filone scettico che relativizza tutto, perfino l'atto del dubitare, e con una letterarietà raffinata, che esige la perizia più sottile. Questo Montaigne spariglia sia perché rimette in onore il parlar franco degli antichi sia perché va ben oltre la critica dell'antropologia colonizzatrice e dei suoi aborigeni artefatti, più simili alla selvaggina da penna che all'uomo civilizzato. Sul filo della lettura di Montaleone, diventa ancor più evidente ciò di cui siamo debitori al gran signore di Bordeaux, ossia lo sguardo implacabile che da allora non risparmia né giudici né giudicati.
Era trascorso un secolo esatto dalla scoperta dell'America quando morì Michel de Montaigne, il primo dei moderni a registrare, come un sismografo ultrasensibile, la dirompenza di quell'evento sugli spalti mentali dell'Occidente. Con la geografia planetaria, ne uscì scossa l'idea stessa di umanità. Senza condividere il fremito religioso di chi acclamava nell'impresa un'occasione cristianissima, ma senza neppure arruolarsi tra i precursori dell'antietnocentrismo ingenuo, Montaigne ispezionò attraverso la prospettiva americana il groviglio della modernità appena inaugurata. Filosofo atipico, insofferente di qualsiasi dottrina e sospettoso di ogni epica del pensiero, riteneva la ragione abbastanza inferma da necessitare dell'attrito dei fatti, di qualsiasi natura fossero. E nella conquista del Nuovo Mondo i fatti su cui esercitare il giudizio erano massacri e predazioni, perfettamente riconoscibili nonostante la trasfigurazione operata da una fraudolenta teologia dell'oro. L'effetto America in Montaigne non avrebbe potuto trovare un interprete più congeniale di Carlo Montaleone, capace di perlustrare Dei cannibali e Delle carrozze - due testi famosissimi e piuttosto enigmatici dei Saggi - attingendo a una sua duplice, rara consuetudine: con lo stile argomentativo di un filone scettico che relativizza tutto, perfino l'atto del dubitare, e con una letterarietà raffinata, che esige la perizia più sottile. Questo Montaigne spariglia sia perché rimette in onore il parlar franco degli antichi sia perché va ben oltre la critica dell'antropologia colonizzatrice e dei suoi aborigeni artefatti, più simili alla selvaggina da penna che all'uomo civilizzato. Sul filo della lettura di Montaleone, diventa ancor più evidente ciò di cui siamo debitori al gran signore di Bordeaux, ossia lo sguardo implacabile che da allora non risparmia né giudici né giudicati.